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I conti non tornano

I conti non tornano

Si sa, è un periodo di crisi economica. E diverse sono le questioni da dirimere. Facciamo due conti: ipotizziamo che un professionista che lavori da un decennio non riesca a fatturare più di € 15.000,00 di onorario annui. L’ipotesi non è così assurda: ci sono una moltitudine di ingegneri e architetti con competenze molto simili tra loro che, tante volte, si accavallano; per non parlare della particolarità tutta italiana di un guazzabuglio normativo grazie al quale, invece di prediligere le specializzazioni, tutti possono fare un po’ di tutto.

Così i professionisti con laurea specialistica intrecciano molte delle loro attività con professionisti junior e, anche, con geometri, periti industriali, periti agrari e così via. Insomma: davvero tanti cani, troppi, intorno ad un osso!

E l’osso è sempre più striminzito, visti i tempi. Torniamo, dunque, al nostro professionista dall’esiguo fatturato. Per semplicità di ragionamento, poniamo il caso che la somma sia fatturata ad un unico cliente. A questo cliente la prestazione costerà complessivamente € 18.876,00: onorario € 15.000,00, cassa professionale (4%) € 600,00, IVA (21%) € 3.276,00; il tecnico ne incasserà 12.000,00, in quanto dall’onorario va detratta la ritenuta d’acconto (20%) pari ad € 3.000,00.

A questi soldi vanno detratti ancora i contributi minimi dovuti dal professionista alla cassa previdenziale di appartenenza: € 2.105,00. Avendo preso in considerazione una cifra così bassa, non vi saranno integrazioni dei contributi.

Dagli € 9.895,00 che restano si dovranno ancora dedurre le spese di gestione dell’attività per cui, supponendo che il professionista abbia in locazione una sola stanza, pagherà mediamente, in un anno, € 2.400,00; poi ci sono le utenze (telefono, luce, gas, TARSU, acqua), il condominio e le pulizie, supponiamo per un totale di € 800,00 annui; consideriamo che questo professionista si rechi al lavoro a piedi, quindi non valutiamo le spese di benzina, parcheggio quasi sempre a pagamento e imprevisti vari dovuti al mezzo di trasporto, né il costo di un abbonamento ai mezzi pubblici. E siamo ad € 6.695,00.

Poi ci sono le spese di cancelleria: inchiostro per stampante, carta, penne, cartelline, nastro adesivo e quant’altro; l’ammortamento degli arredi e dei macchinari da ufficio (computer, stampante, fax, fotocopiatrice), le riparazioni e manutenzioni, l’aggiornamento dei software, gli aggiornamenti professionali quasi tutti a pagamento.

Volendo essere generosi, quindi, e per semplificare i conti, diciamo che tutto ciò costi solo € 695,00 all’anno.

Ora si parla di obbligare i professionisti ad assicurarsi contro i rischi legati alla propria attività, con un ulteriore aggravio di spesa di altri € 800,00 circa all’anno. Ovviamente, il professionista in questione si troverà ad avere un reddito pressoché ridicolo, quindi sicuramente non congruente con gli studi di settore e, perciò, passibile di verifica.

Da tale verifica l’Agenzia delle Entrate desumerà che, in base ai suddetti studi di settore, il professionista ha evaso il Fisco dichiarando meno del dovuto e, quindi, lo costringerà a pagare le tasse e le relative sanzioni sulla parte che non è riuscito a guadagnare e, conseguentemente, a dichiarare (piove sempre sul bagnato…).

Per esemplificare, se guadagno € 5.000,00 e lo Stato, in base ai propri calcoli, dice che invece ne devo guadagnare, supponiamo, 8.000,00, mi farà pagare le tasse sulla differenza di quegli € 3.000,00 che non ho guadagnato con, in aggiunta, una sanzione!

Sempre per comodità, supponiamo che il professionista non abbia familiari a carico o altre spese deducibili oltre a quelle già citate, di conseguenza egli avrà come base imponibile IRPEF il 23% di € 5.200,00 pagando, così, altri € 1.196,00.

Conseguentemente, il guadagno netto di tutto l’anno di lavoro è pari ad € 4.004,00 (pari ad € 333,67 al mese per 12 mensilità), che di certo non gli bastano per vivere, mentre il suo cliente ha sborsato la bellezza di € 18.876,00!!! Il tutto a prescindere dalle ore di lavoro effettive e senza che il professionista goda di malattie, ferie e straordinari pagati o altri diritti del genere.

Evidentemente, tutto il calcolo è basato su ipotesi estremamente semplificate atte esclusivamente a spiegare in maniera chiara la dinamica economica del lavoro autonomo ed i suoi risultati.

A tutto ciò va, poi, aggiunto che gli enti pubblici non pagano perché non hanno soldi, i privati non pagano o pagano a mini rate dilazionate in tempi biblici perché non hanno soldi, mentre gli scadenzari sono da rispettare obbligatoriamente perché allo Stato non interessa se il professionista i soldi li ha oppure no. E, in più, si deve tener conto delle suddette eventuali verifiche fiscali!

Con la liberalizzazione del mercato del lavoro andrà anche peggio: neolaureati che non avendo lavoro e dovendo fare esperienza elargiranno prestazioni per un morso di pane (accade già), facendo sì che le tariffe si abbassino tanto da rendere inutile lavorare.

Se il professionista volesse chiudere la partita IVA e dichiarare solo le prestazioni occasionali, pagando esclusivamente i costi di IVA e le tasse sui guadagni percepiti, nonché i contributi in percentuale al fatturato (eliminando quindi i minimi), non potrebbe farlo, a meno che tali prestazioni non avessero nulla a che vedere con la sua professione…

A questo punto sembra lecito domandarsi: non vale la pena chiudere l’attività, andarsene a passeggio e ingrossare le fila dei disoccupati? Oltre al danno per lo Stato (nessuna attività = niente introiti fiscali), ci sarebbe anche la beffa (esenzioni varie per reddito) ma, sicuramente, quel professionista ne guadagnerebbe in salute!!! Se è questo il modo di risolvere la crisi, secondo il nostro Governo, i conti decisamente non tornano…

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